Il disegno è sempre stato uno dei mezzi di comunicazione tra i più utilizzati da Pier Giacomo Castiglioni.
Mio padre era solito adoperare con frequenza il mezzo grafico mentre esprimeva un pensiero per trasmettere concetti in modo più chiaro e immediato. Non era un dono della natura, ma piuttosto una qualità da lui acquisita nel tempo, attraverso il continuo esercizio che l’aveva portato ad esprimere qualsiasi idea in modo simultaneo allo scorrere della matita.
Ricordo i suoi particolari insegnamenti grafici sul modo di parcheggiare l’automobile; raffigurava sul foglio gli spostamenti delle ruote anteriori e posteriori per fare manovre perfette: Lezioni di guida al tavolo da disegno!
M’insegnava le caratteristiche della materia attraverso giochi, con piccoli pezzi di legno che piegava ed accostava sino a formare una stella; versando una goccia d’acqua al centro il legno si dilatava in modo sorprendente sino ad assumere forme interessanti.
Usava la carta per eliocopie esponendola al sole dopo avervi sovrapposto oggetti di vario tipo: poco dopo toglieva gli oggetti e sulla carta sbiadita ne rimanevano impresse le sagome.
Da piccola mi faceva scoprire i mezzi di espessione come acquarelli, tempere, plastilina, china ma lasciava sempre a me l’iniziativa di utilizzare e sperimentare. Raramente interveniva per suggerirmi qualche trucco del mestiere.
Pier Giacomo era appassionato di giochi di abilità manuale. Sul tavolo da disegno, per esempio, componeva spesso forme in equilibrio usando matite, gessetti e plastilina. Negli anni 50 quando era in auge l’attrezzo di giocoleria chiamato Diablo, ne acquistò uno in Francia. L’abilità consisteva nel tenere in equilibrio una particolare clessidra di legno su una cordicella tesa tra due bastoncini attraverso un movimento rotatorio impresso all’oggetto.
Mio padre riusciva a dar vita a vere e proprie acrobazie facendo saltar in aria il pezzo di legno col semplice gesto di allargare e chiudere le braccia. Erano legati al rapporto del corpo con lo spazio e con il tempo anche in molti sport in cui eccelleva, come per esempio lo sci e soprattutto il pattinaggio su ghiaccio: si destreggiava abilmente sulle lame in compagni di mia madre esibendosi talvolta in esercizi di sicurezza e velocità paragonabili, in qualche modo, a quelli manuali. Erano in gioco la percezione dello spazio reale e la forma della velocità.
Tutta la famiglia Castiglioni lavorava in un vecchio edificio situato all’ospedale Fatebenefratelli: Corso di Porta nuova numero cinquantadue. Sulla sinistra c’era lo studio dove il nonno realizzava medaglie e sculture di medie dimensioni. Di fronte al portone dello scultore si poteva accedere allo studio degli architetti: Pier Giacomo e Achille; sul retro c’era lo spazio di Livio e quindi un altro studio, quello dello zio Tullio Emanueli, ingegnere con la passione dell’aeronautica.
Un largo viale portava all’altro laboratorio del nonno, contiguo alla scuola Svizzera, tuttora situata in via Appiani, 21.
Al primo piano la nonna sbrigava le faccende domestiche aiutata dalla fidata Rachele. La nonna era la figura di riferimento dell’intera famiglia; era attenta agli spostamenti dei figli e la sera li aspettava col nonno per un incontro in cui tutti si scambiavano i resoconti di quanto avvenuto durante la giornata, di fronte ad un Fernet o a una China Martini.
Nello studio degli Architetti Castiglioni si verificavano annualmente le anteprime dei loro favolosi allestimenti per RAI, ENI, AGIP, MONTECATINI e molti altri: nel mese di aprile alla Fiera di Milano, si sarebbero rivelati i protagonisti assoluti dell’evoluzione delle aziende Italiane più rappresentative.
Ricordo, sia per la spettacolarità dei progetti, sia per l’originalità delle presentazioni a cui assistevo nello studio, gli sbalorditivi allestimenti che venivano realizzati da Pier Giacomo e dai suoi fratelli. Mio papà scomponeva una misteriosa scatola di legno e con sorpresa si scorgeva il risultato di un lungo lavoro, dapprima solo alcuni dettagli, poi, dischiusa la scatola, ci veniva mostrato il contenuto miniaturizzato dell’allestimento. Di lì seguivano le spiegazioni: tutto microscopico sino al momento in cui, a distanza di qualche tempo, venivano catapultati nel vero allestimento, finalmente preso in scala reale.
L’apertura di questi contenitori era sempre un momento di sorpresa che mi coinvolgeva emotivamente. Singolare era la mia sensazione nello scorrere in piccolo il progetto e poi entrare davvero in quello stesso spazio reso a dimensione umana. Indescrivibile resta, invece, l’idea che mi faceva sentire “miniaturizzata” con questa duplice sensibilità dello spazio, prima piccola poi grande che mi coglieva nel passare dal modellino all’allestimento vero e proprio.
Uno dei mezzi che i Castiglioni prediligevano per interpretare lo spazio dell’uomo, a mio parare, era lo specchio.
Vorrei ricordare soprattutto lo specchio per riaccendere la fiamma di Pier Giacomo in modo che si riunisca a quello del fratello Achille facendo rivivere anche il suo nome nello studio (ora Fondazione Museo Achille Castiglioni) che i fratelli avevano creato insieme in Piazza Castello, 27 dopo il trasferimento da Corso di Porta nuova, 52, luogo storico dell’inizio della loro attività. A questo proposito vorrei ricordare l’uso supremo dello specchio nel loro sensazionale allestimento del 1967 alla XVL Fiera di Milano per la mostra: Chimica = un domani più sicuro: in attesa del 2000.
L’ultimo spazio narrativo non è infatti un cannocchiale, come i precedenti disseminati nello spazio aperto del padiglione Montecatini, bensì un pozzo dal fondo a specchio che riflette un soffitto ribassato anch’esso di specchio, rimandando i visitatori ad un mondo straniante che sembra ricomporre le immagini della folla in più dimensioni. Questi rimandi evocativi derivano anche dalla curiosità che Pier Giacomo ha sempre avuto per le missioni spaziali della NASA. Inizialmente si trattava di qualche lettura specialistica, ma negli anni 60 fu contattato dal regista Renato Castellani, suo compagno di studi al Politecnico di Milano, per lavorare ad un film intitolato: L’isola del tesoro che lo avvicinava all’argomento della scoperta dello spazio, ma che purtroppo non venne prodotto.
Infine ecco: il mitico Allunaggio prototipato nel ’65 e prodotto anni dopo da Zanotta. La seduta a tre gambe celebrava il primo atterraggio morbido sulla Luna. Qualche anno prima Pier Giacomo aveva preso una pallina da Ping Pong, vi aveva disegnato i crateri per trasformarla in una piccola Luna e, avvicinandola ad un mio mappamondo scolatisco si era divertito a trovare la distanza Terra-Luna improvvisandomi un modellino proporzionato del nostro pianeta e del suo satellite. Spesso si chiedeva se avrebbe potuto vedere l’anno 2000, che allora appariva così lontano, e se sarebbe arrivato a mettere piede sulla Luna in futuro. Di lì a pochi mesi si apprestavano ad allunare gli astronauti, ma non poté mai vedere né Neil Armstrong e Buzz Aldrin in quel luglio del 1969 mentre passeggiavano sulla Luna.
Giorgina Castiglioni
Catalogo: 1913/2013 Pier Giacomo 100 Volte Castiglioni
ISBN: 978-88-97221-17-3